Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                                                   Pagina iniziale > Articoli > Palestina 2

STORIA DELLA PALESTINA (2)

 

 

 

Dagli ottomani ai britannici

 

Nel periodo della prima guerra mondiale i territori arabi del Medio Oriente passarono dal dominio ottomano a quello britannico. Nel corso del conflitto, in cui l’Impero Ottomano si era schierato a fianco di Austria e Germania contro Gran Bretagna, Francia e Russia, i britannici cercarono di usare tutti i mezzi possibili per vincere la guerra. Così formularono promesse in tre direzioni: gli arabi, i francesi e gli ebrei.

Il mondo arabo ottomano era in fermento: dal 1908 erano al potere i Giovani Turchi, che (come detto nell’articolo Palestina 1) avevano introdotto nel paese il nazionalismo, sottolineando il predominio turco sulle altre popolazioni dell’Impero. Di riflesso nacque il nazionalismo arabo, con la costituzione di società segrete arabe, composte prevalentemente da ufficiali dell’esercito ottomano, che miravano a una ribellione contro i turchi. Una di queste si chiamava al-‘Ahd («il patto, la promessa») e fu però scoperta dagli ottomani; gli ufficiali cospiratori furono arrestati mentre i reparti arabi dell’esercito vennero smantellati e i soldati furono inviati a combattere al fronte, in particolare nella lunga battaglia di Gallipoli, sulla penisola settentrionale dei Dardanelli, da dove i britannici tentavano di raggiungere Istanbul.

Frattanto nella regione dello Hijaz, dove si trovano le città sante della Mecca e di Medina, oltre al porto di Gedda sul Mar Rosso, i luoghi santi dell’Islam erano custoditi dalla famiglia hashimita, così chiamata perché discendente da Hàshim, bisnonno del profeta e capostipite della famiglia di Maometto. Hussein ibn ‘Ali (1856-1931), sceriffo della Mecca, (in arabo sharif, «nobile», ossia discendente del profeta) non era in buoni rapporti col governo dei Giovani Turchi. Questi ultimi infatti miravano ad avere un controllo più diretto sullo Hijaz e sui proventi dei pellegrinaggi ai luoghi santi; in questa direzione andava anche il progetto di estendere la ferrovia che da Damasco già raggiungeva Medina e che il governo ottomano voleva far arrivare alla Mecca e al porto di Gedda.

 

Negoziati — Hussein si mise in contatto con i britannici al Cairo per negoziare un aiuto in funzione antiottomana. In un primo momento la situazione non trovò sbocchi. La svolta arrivò proprio da Gallipoli, dove un giovane ufficiale, Muhammad Sharif al-Faruqi, disertò consegnandosi ai britannici, ai quali disse di avere importanti informazioni. Condotto al Cairo, affermò (senza fondamento) di essere portavoce della società segreta al-‘Ahd e di poter indurre gli arabi a ribellarsi contro i turchi. Ripresero così i contatti con Hussein della Mecca. I britannici, tramite al-Faruqi, cercavano di indurre Hussein a scatenare una rivolta antiturca, promettendo (seppure molto vagamente) per il dopoguerra alla famiglia hashimita uno o più regni arabi nei territori sottratti agli ottomani.

Essendo Hussein non un emiro qualunque ma il custode dei luoghi santi dell’Islam, una posizione di grande prestigio nel mondo arabo e islamico, emerse per i britannici la questione dei rapporti col mondo musulmano. Va ricordato che nell’enorme Impero britannico, dall’India all’Egitto e al Sudan, viveva più di metà dei musulmani del mondo, per cui per la Gran Bretagna sarebbe stato opportuno avere dalla propria parte queste vaste popolazioni. Tuttavia i britannici dimostrarono di non capire il mondo islamico, in particolare per ciò che riguardava la figura del califfo.

 

Il califfo — Come già ricordato (nell’articolo Palestina 1), il titolo di califfo, successore del profeta, era attribuito al sultano ottomano. I britannici ritenevano che il califfo fosse un equivalente del papa cattolico e che da un lato si occupasse soltanto di questioni spirituali e dall’altro lato potesse far valere la propria autorità su tutti i musulmani. In realtà il mondo islamico era (ed è tuttora) assai frammentato, e l’autorità del califfo non comportava certo un’obbedienza cieca ai suoi proclami. Questo si era visto allo scoppio della guerra, quando il sultano-califfo aveva proclamato un jihad (guerra santa) di tutti i musulmani contro gli infedeli, in particolare contro i britannici. Però questo appello era caduto nel vuoto, e i musulmani dell’India, per esempio, combattevano fedelmente nell’esercito imperiale britannico. Ciò nonostante, i britannici intendevano offrire il titolo di califfo a Hussein, per farne un proprio alleato, ma questi cominciò a rivendicare per sé un vasto regno, poiché il califfo tradizionalmente non era soltanto una guida spirituale ma anche un capo politico e militare.

 

Rivolta araba — Prima che si risolvessero questi malintesi e si giungesse a un accordo ben preciso, Hussein venne a sapere che i Giovani Turchi intendevano spodestarlo e nel 1916 per prevenirli diede inizio alla rivolta araba, che però non riuscì a coinvolgere le popolazioni mediorientali. Solo alcune tribù, finanziate dai britannici tramite il funzionario dei servizi segreti Thomas Edward Lawrence (1888-1935, meglio noto come Lawrence d’Arabia), si unirono alla rivolta, assieme a un certo numero di prigionieri di guerra che scelsero di combattere contro i turchi; in totale poco più di tremila combattenti. Questi su suggerimento di Lawrence furono impiegati in azioni di guerriglia in appoggio all’esercito britannico quando nel 1917 partì l’attacco del generale Allenby dall’Egitto contro la Palestina e la Siria.

 

Sauditi e wahhabiti — La rivolta araba non ebbe successo perché, da un lato, i soldati arabi dell’esercito ottomano rimasero fedeli al sultano e non si ribellarono e, dall’altro lato, i vari emiri arabi non erano disposti ad assoggettarsi a Hussein. In particolare la famiglia Sa‘ud, che regnava sulla regione del Najd, al centro della penisola arabica, non si sarebbe mai rappacificata con Hussein. La disputa tra queste due famiglie, che si protraeva già da tempo, aveva anche connotazioni religiose: mentre gli hashimiti seguivano il filone principale dell’Islam sunnita, i sauditi fin dalla metà del XVIII secolo erano alleati ai riformatori religiosi chiamati wahhabiti, dal nome del fondatore Muhammad Ibn ‘Abd al-Wahhab. Questo movimento, che può essere considerato il primo esempio di fondamentalismo islamico (si veda l’articolo Terrorismo islamico 3), propugnava una versione puritana dell’Islam, condannando specialmente il culto dei santi e altre forme di devozione popolare considerate idolatriche.

 

 

 

La Dichiarazione Balfour

 

Frattanto però i britannici avevano raggiunto un accordo con la Francia per la spartizione del Medio Oriente in caso di vittoria nel conflitto: alla Gran Bretagna sarebbe andata la Mesopotamia, alla Francia il Libano e la Siria con la zona di Mosul (nel nord dell’attuale Iraq), mentre la Palestina con la Transgiordania sarebbe stata assoggettata a un controllo internazionale. L’accordo venne chiamato Sykes-Picot dal nome dei funzionari dei rispettivi ministeri degli esteri. Sir Mark Sykes ebbe un ruolo importante nel plasmare la politica britannica per il Medio Oriente. Inoltre è ricordato per avere disegnato la bandiera della rivolta araba, con i colori che ricordano la tradizione arabo-musulmana: il bianco della dinastia omayyade (che regnò a Damasco dal 661 al 750), il nero della dinastia abbaside (al potere a Baghdad dal 750 al 1258), il verde dell’Islam e del profeta (ma anche dei Fatimidi d’Egitto, 909-1171). La bandiera, con l’inversione delle strisce bianca e verde, è usata ancora oggi dai palestinesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tornando all’accordo Sykes-Picot, le sorti del conflitto fecero cambiare idea ai britannici: quando le truppe del generale Allenby conquistarono la Palestina e la Siria, senza alcun intervento francese, la Gran Bretagna volle tenere per sé questi territori.

 

Gli ebrei — La terza promessa fatta dai britannici durante la guerra riguardava gli ebrei ed era la famosa Dichiarazione Balfour: una lettera, datata 2 novembre 1917, del ministro degli esteri britannico Balfour a Lord Rothschild, perché la trasmettesse alla Federazione sionista britannica, in cui il governo di Londra si impegnava a creare in Palestina una «patria nazionale» (national home) ebraica. Il testo era volutamente ambiguo e di certo non parlava di uno Stato ebraico. Tuttavia la Dichiarazione era importante perché costituiva un appoggio ufficiale alla causa sionista.

Oltre alla volontà di vincere la guerra con ogni mezzo, reclutando quanti più alleati possibile, vi erano due motivi principali che condussero alla Dichiarazione Balfour. Il primo era che (come si è detto nell’articolo Palestina 1) altre potenze già da decenni appoggiavano dei gruppi etnico-religiosi all’interno dell’Impero Ottomano, per incrementare la propria influenza sui territori del sultano. I britannici non avevano popolazioni anglicane o protestanti da proteggere, così ritennero che gli ebrei potessero costituire degli utili alleati in funzione antiottomana. Inoltre vi era il desiderio di anticipare ottomani e tedeschi nell’appoggio al sionismo.

 

Antisemitismo — L’altro motivo era legato all’antisemitismo tanto diffuso in Europa a quell’epoca. Da secoli gli ebrei fungevano da capri espiatori quando le cose andavano male. Era facile prendersela con gli ebrei in caso di carestie, epidemie o disgrazie di vario genere (della ricerca di capri espiatori si parla nell’articolo Stregoneria). Era perciò normale ritenere che gli ebrei dovessero essere potenti, se riuscivano a causare tutte quelle sciagure. La situazione della maggior parte degli ebrei in Europa era però piuttosto grama: gli ebrei vivevano in povertà e a malapena riuscivano a sopravvivere. Certamente alcuni erano ricchi e potenti (come la famiglia Rothschild) ma costituivano l’eccezione e non certo la regola. Tuttavia era diffusa la convinzione che gli ebrei agissero dietro le quinte influenzando la politica dei governi.

 

Influenza ebraica — Anche le autorità britanniche erano convinte dell’influenza ebraica. Ritenevano che gli ebrei fossero particolarmente attivi in Russia, influenzando sia il governo dello zar sia i movimenti rivoluzionari clandestini, ma anche nell’Impero Ottomano, dove i Giovani Turchi sarebbero stati in realtà ebrei. Invece il governo dei Giovani Turchi era nazionalista e discriminava le altre etnie, compresi gli ebrei. Non solo, ma gli ebrei di Palestina erano considerati potenziali nemici in quanto in maggioranza sudditi dello zar, e se la videro molto brutta a un certo punto perché venne scoperta una loro rete di spionaggio filobritannica. I Giovani Turchi, oltre a reprimere ferocemente questa attività con arresti, torture e fucilazioni, intendevano deportare tutti gli ebrei dalla Palestina, come era stato fatto nel 1915 con gli armeni nel Caucaso, e comunque ne espulsero a migliaia. Soltanto le pressioni tedesche riuscirono a evitare una fine prematura alla comunità ebraica di Palestina.

 

 

 

La sistemazione del Medio Oriente

 

Terminata la prima guerra mondiale, all’inizio del 1919 si aprì l’interminabile conferenza di pace a Parigi, dove però la sistemazione del Medio Oriente fu lasciata in sospeso per lungo tempo e venne poi definita con una serie di trattati soltanto nel 1922-23.

A presiedere i lavori della conferenza di pace fu chiamato il presidente americano Woodrow Wilson (1856-1924), il quale insisteva sul concetto di autodeterminazione dei popoli. Si tratta di un corollario del nazionalismo: se il mondo è diviso in nazioni, ogni nazione deve scegliersi la forma di governo che preferisce. Questo concetto sta alla base della Società delle Nazioni (l’antenata dell’Onu), istituita proprio a Parigi su proposta di Wilson. Tuttavia il parlamento americano non ratificherà il trattato e la Società nascerà senza gli Stati Uniti.

 

Colonialismo — Il concetto di autodeterminazione dei popoli era in conflitto con il colonialismo. Per questo, su proposta del sudafricano Jan Smuts, venne escogitato l’istituto del Mandato: la Società delle Nazioni incaricava un paese (generalmente una potenza coloniale) di amministrare un certo territorio con l’obiettivo di condurlo gradatamente all’indipendenza. Era soltanto un modo per consentire un ulteriore ampliamento degli imperi coloniali senza giustificare formalmente l’annessione arbitraria di territori con atti di guerra.

Per quanto riguarda il Medio Oriente, vi furono lunghe discussioni tra francesi e britannici su come spartirsi i territori arabi ex ottomani. Un punto su cui tutti concordavano infatti era che gli arabi fossero incapaci di governarsi da sé, per cui l’alternativa agli ottomani poteva essere soltanto un dominio europeo; tuttavia gli arabi musulmani non volevano essere governati da europei cristiani, ma nessuno ne tenne conto.

 

Zone di influenza — L’accordo Sykes-Picot assegnava alla Francia una vasta zona di influenza fino alla provincia ottomana di Mosul. Questo perché durante la guerra i britannici prevedevano, in caso di crollo dell’Impero Ottomano, un’espansione russa in Anatolia, e in tal caso non volevano avere una frontiera in comune con i russi, per cui andava bene un territorio cuscinetto francese. Le cose però erano cambiate: in Russia la rivoluzione aveva posto fine al dominio dello zar, e dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi era ancora in corso la guerra civile; frattanto l’Impero Ottomano non era crollato, pur avendo perso i territori arabi; e i britannici avevano conquistato militarmente Palestina e Siria, oltre alla Mesopotamia, quest’ultima occupata dalle truppe  imperiali britanniche provenienti dall’India.

Nel corso della conferenza di pace si era ventilata anche la creazione di un Kurdistan indipendente, nella zona di Mosul, però la presenza di cospicui giacimenti petroliferi indusse i britannici a rivendicare quel territorio prevalentemente curdo, unendolo alle province ottomane di Baghdad e di Bassora per formare un nuovo Stato, l’Iraq, assegnato ai britannici con la formula del Mandato.

 

Palestina e Siria — Un Mandato britannico fu concordato anche per la Palestina, che all’epoca comprendeva pure la Transgiordania, mentre rimaneva da definire il destino della Siria e del Libano. I francesi da tempo erano protettori dei cristiani maroniti libanesi, che abitavano il cosiddetto Monte Libano, la zona che va da Beirut verso Tripoli, a nord, popolata però anche dai drusi, tradizionali avversari dei maroniti. La Francia tuttavia volle estendere il suo dominio creando il Grande Libano (ossia il Libano che conosciamo oggi), con l’inclusione di altre zone limitrofe, con le città di Tiro e Sidone nel sud e la valle della Beka‘a, abitate da varie popolazioni perlopiù musulmane, sunnite o sciite.

 

Commissione — Wilson propose di definire la questione della Siria alla maniera americana, ossia creando una commissione che andasse a sondare gli umori della popolazione locale. Francesi e britannici considerarono questa proposta una follia, ritenendo che nel Medio Oriente non vi fosse un’opinione pubblica e che le decisioni dovessero essere prese dalle grandi potenze, senza interpellare nessuno. Così la commissione, di cui dovevano far parte due americani, due britannici e due francesi, alla fine fu composta soltanto dai due americani, i quali andarono in Siria e in Palestina, ritornarono e presentarono una relazione, che però finì in un cassetto e non venne nemmeno letta alla conferenza di pace. Una cosa sicuramente dissero i siriani alla commissione: che non volevano in nessun caso essere governati dai francesi. La Siria fu assegnata alla Francia.

A Damasco, frattanto, si era insediato Faisal ibn Hussein (1885-1933), figlio dello sceriffo della Mecca. Su suggerimento di Lawrence, Faisal era stato nominato capo della rivolta araba e dei reparti di guerriglieri che avevano affiancato le truppe di Allenby portando azioni di disturbo contro gli ottomani. Lo stesso Lawrence aveva inscenato per Faisal un ingresso trionfale a Damasco, come se la città fosse stata conquistata dal principe hashimita; in realtà gli ottomani si erano già ritirati da Damasco, e i primi a entrare nella città sguarnita erano stati i reparti australiani e neozelandesi dell’esercito britannico.

 

Lawrence d’Arabia — Tutta la vicenda della rivolta araba assunse caratteristiche quasi fiabesche grazie a un giovanotto americano, Lowell Thomas, che in cerca di fortuna e avventure era riuscito a trovare dei finanziamenti per recarsi alla fine del 1917 in Medio Oriente a filmare le battaglie e raccogliere qualche storia esotica. Lì aveva incontrato Lawrence, vestito da arabo, con cammelli e tutto, e aveva capito di poterne fare un eroe da romanzo.

Thomas scrisse un libro e poi allestì uno spettacolo teatrale intitolato L’ultima crociata, in realtà una sorta di conferenza con fotografie, in cui magnificava le imprese di «Lawrence d’Arabia» e del suo alleato Faisal. Lo stesso Lawrence era incline a esagerare il proprio ruolo nella vicenda, ma Thomas fece della rivolta araba un evento straordinario, trasformando i poco più di tremila guerriglieri di Faisal in un esercito di 200 mila soldati, e facendo di Lawrence l’ispiratore della rivolta, quando in realtà l’ufficiale era arrivato in Arabia diversi mesi dopo l’inizio della ribellione. Lo spettacolo ebbe un grande successo, a Londra rimase in cartellone per diversi mesi e fu visto forse da un milione di spettatori. La conseguenza fu che anche il governo britannico si convinse dell’importanza di Faisal e dei suoi arabi, ritenendo di avere un debito nei confronti della famiglia hashimita. Così quando nel 1920 la Siria, assieme al Libano, fu assegnata alla Francia, e Faisal dovette andarsene da Damasco, per ricompensarlo nel 1921 i britannici lo insediarono sul trono del neonato Iraq (la famiglia hashimita regnerà sull’Iraq fino al 1958).

 

Transgiordania — Frattanto ‘Abdullah ibn Hussein (1882-1951), fratello di Faisal, si era spostato ad Amman, in Transgiordania,  ufficialmente per riprendersi da un’itterizia, in realtà per vedere se fosse possibile «vendicare» il fratello e riconquistare la Siria. Per evitare attriti con i francesi e salvaguardare la pace nella regione, i britannici nominarono ‘Abdullah governatore provvisorio della Transgiordania, con l’incarico di ristabilire l’ordine pubblico, cosa che riuscì quando il colonnello F.G. Peake, amico di Lawrence, addestrò reparti di beduini inquadrati nell’esercito britannico. Queste truppe in seguito diventeranno la Legione Araba, principale componente dell’esercito giordano, che sotto il comando di un altro britannico, John Glubb, costituirà il principale avversario militare dei sionisti durante la guerra di indipendenza di Israele.

 

Churchill — Winston Churchill (1874-1965), che all’inizio del 1921 divenne ministro delle colonie e dovette occuparsi anche del Medio Oriente (con la collaborazione di Lawrence), cercò di mantenere in qualche modo le promesse fatte dai britannici durante la guerra. I francesi erano stati accontentati con l’assegnazione della Siria, mentre la famiglia hashimita si ritrovò con tre territori da amministrare: il regno dello Hijaz, con a capo Hussein; il regno dell’Iraq, con Faisal; e la Transgiordania, che nel 1922 divenne emirato, con ‘Abdullah. A Churchill andava bene fare affidamento sugli hashimiti, poiché in tal modo in caso di disordini sarebbe stato sufficiente fare pressione su un’unica famiglia per tenere sotto controllo l’intero territorio arabo.

 

Conseguenze — Il problema di questa sistemazione del Medio Oriente, le cui conseguenze si fanno ancora sentire, è che tutti questi nuovi Stati, in seguito diventati indipendenti, nacquero per volontà delle grandi potenze e in maniera del tutto arbitraria, senza tenere conto della volontà delle popolazioni locali. Questo comportò una mancanza di legittimità e di riconoscimento, da parte di tali popolazioni, sia dei confini tra i vari paesi, sia dei rispettivi governi, una situazione che si protrae ancora oggi.

La sistemazione però già entro breve tempo andò incontro a un mutamento. Infatti non si era tenuto conto della famiglia Sa‘ud, pure formalmente alleata ai britannici, che nel 1922 prese ad attaccare i territori amministrati da Hussein e nel 1924 conquistò lo Hijaz, costringendo lo sceriffo della Mecca a rifugiarsi in Transgiordania. In seguito i sauditi unificarono gran parte della penisola arabica costituendo nel 1932 il regno dell’Arabia Saudita. Questi sviluppi portarono dunque alla nascita degli unici due paesi al mondo che ancora oggi rechino il nome della famiglia regnante: il Regno dell’Arabia Saudita e il Regno hashimita di Giordania.

 

 

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bandiera araba

La bandiera della rivolta araba disegnata da Mark Sykes

 

(da it.wikipedia.org)