Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                               Pagina iniziale > Articoli > Terrorismo islamico 3

TERRORISMO ISLAMICO (3)

 

 

3) Il contesto culturale

 

Se quello esaminato nell’articolo Terrorismo islamico 2 è il contesto storico in cui va inquadrato il terrorismo islamico, il contesto culturale o religioso è dato dal cosiddetto fondamentalismo islamico. Il termine fondamentalismo è di origine cristiana protestante americana, ma viene applicato a tutti i movimenti di varie religioni che si richiamano ai fondamenti della religione stessa e intendono far derivare i principi politici da un testo ritenuto sacro.

Nel caso dell’Islam, all’interno del fondamentalismo si possono individuare tre diversi movimenti: risveglio, riformismo e radicalismo. Tutti e tre partono dalla constatazione del declino del mondo islamico per via dell’espansione europea fra il XV e il XIX secolo. Dopo l’età aurea dell’impero arabo-islamico, con l’espansione subito dopo l’epoca di Maometto, il califfato omayyade a Damasco e soprattutto il califfato abbaside a Baghdad, il mondo musulmano è andato incontro a una lunga decadenza, fino a trovarsi in posizione di inferiorità davanti ai grandi imperi europei. Così appare necessario ricercare le cause di questo declino e rivitalizzare l’Islam per tornare agli antichi splendori. Tutte le forme di fondamentalismo infatti ritengono che la causa del declino sia dovuta all’allontanamento dall’Islam originario e che pertanto sia necessario recuperare la purezza della fede islamica per recuperare anche la preminenza politica ed economica.

 

Risveglio — Con l’espressione risveglio islamico si indicano i movimenti emersi nel XVIII e nel XIX secolo e volti soprattutto a stimolare il ritorno del mondo musulmano alla purezza della fede come nei primi tempi dell’Islam. La manifestazione più importante del risveglio si ha in Arabia alla metà del XVIII secolo, con l’alleanza tra il riformatore religioso Muhammad bin ‘Abd al-Wahhab e il capo politico Muhammad bin al-Sa‘ud. Dopo varie vicende nell’arco di due secoli, questa alleanza darà vita all’Arabia Saudita, di cui il wahhabismo è ancora oggi l’ideologia ufficiale. Il wahhabismo (i cui seguaci preferiscono però definirsi muwahhidun, «unitari», poiché pongono l’accento sull’unicità di Dio, escludendo ogni altra forma di venerazione) può essere considerato una forma di puritanesimo, che intende riportare l’Islam alla fede pura delle origini, come all’epoca di Maometto nel VII secolo, sopprimendo tutte le aggiunte posteriori. Un’interpretazione letterale del Corano induce a proibire musica e balli, la decorazione delle moschee e perfino la celebrazione della nascita del profeta. Inoltre vengono condannate tutte quelle forme di culto che possono condurre all’idolatria, come la venerazione dei santi e delle tombe di personaggi famosi. Così quando nel 1925 i sauditi conquistano la Mecca e Medina, distruggono non solo le tombe della sconfitta dinastia hashimita, ma anche quelle dei familiari di Maometto.

 

Deobandi — Un movimento analogo al wahhabismo nasce in India nella seconda metà del XIX secolo e viene chiamato deobandi, dalla città di Deoband, dove nasce. È una risposta alla fine dell’Impero Moghul e all’instaurazione del dominio britannico e cerca di fare rinascere l’Islam in un paese a maggioranza indù e governato da occidentali. Il movimento usa come centro di divulgazione la scuola coranica (chiamata con termine arabo màdrasa, «scuola»), che accoglie molti figli di famiglie povere. Oltre un secolo dopo, nel Pakistan di Zia ul-Haq, le scuole coraniche otterranno la parificazione con quelle statali e durante l’occupazione sovietica dell’Afghanistan accoglieranno anche numerosi profughi afghani. Diversi allievi di queste scuole andranno poi a costituire i talebani (taliban, «studenti») che governeranno l’Afghanistan negli anni Novanta (si veda Afghanistan 2).

 

Riformismo — Mentre il risveglio può essere considerato un movimento puramente religioso, il riformismo islamico, nato nel XIX secolo e protrattosi per gran parte del XX, ha un risvolto politico e rappresenta il tentativo di confrontarsi con la cultura, la tecnica e le ideologie europee (nazionalismo, socialismo, liberalismo, democrazia) allo scopo di raggiungere una sintesi fra mondo moderno e tradizione islamica.

Il riformismo prende a prestito concetti occidentali perché vede l’inadeguatezza delle idee religiose del risveglio islamico. Nazionalismo, liberalismo, socialismo, democrazia parlamentare vengono fatti propri dal mondo arabo e musulmano e mescolati fra loro nonché con idee di derivazione islamica. Questi concetti, nati in Europa, vengono poi sfruttati in funzione antieuropea nel periodo della decolonizzazione. Tuttavia durante l’epoca coloniale i paesi musulmani vengono inseriti nel sistema economico mondiale, perdendo la possibilità di seguire una via diversa; poi con la decolonizzazione giungono al potere in questi paesi delle élite laiche occidentalizzate, che instaurano sistemi politici di ispirazione europea (anche perché le lotte anticoloniali sono soprattutto opera di queste élite, spesso militari); così il riformismo ha come esito l’allontanamento della religione dalla legislazione e dall’esercizio del potere. Anche se i nuovi Stati che nascono si dichiarano musulmani e fanno riferimento al Corano e al diritto islamico, le loro leggi e costituzioni sono spesso di ispirazione europea (come per esempio il codice civile nella Tunisia di Burghiba) e considerano la religione un fatto privato. Molti regimi che si instaurano in Medio Oriente (Nasser in Egitto, il partito Ba‘ath in Siria e in Iraq) hanno un’ideologia che mescola nazionalismo e socialismo e combattono i movimenti islamisti come i Fratelli Musulmani.

 

Fratelli Musulmani — Questi ultimi nascono nel 1928 in Egitto per opera di Hassan al-Banna e si diffondono presto in vari paesi musulmani. Possono essere considerati l’ala estremista del riformismo, punto di congiunzione col radicalismo. Il movimento nasce per reazione all’abolizione del califfato, a opera di Atatürk in Turchia nel 1924. L’assenza di un califfo, ossia di un «successore» del profeta, per la prima volta dal VII secolo, crea sconcerto fra i musulmani, che si vedono privati di una guida politico-spirituale. Lo scopo dei Fratelli Musulmani è quello di reislamizzare la società, riportando la religione al centro della vita politica e sociale. È un processo che deve procedere dal basso, mediante la creazione di una rete di assistenza sociale, istituzione di scuole, ospedali, mense per i poveri e servizi vari (attività che creano consenso), prendendo ciò che offre la società moderna con l’intento non di modernizzare l’Islam bensì di islamizzare la modernità.

 

Radicalismo — Il radicalismo islamico nasce invece dalla constatazione del fallimento del riformismo. La nascita degli Stati postcoloniali ha condotto all’instaurazione di regimi autoritari laici e occidentalizzati. Poiché tali regimi sono finanziati e appoggiati dagli occidentali, sono considerati nemici dell’Islam. Il riformismo islamico, col suo tentativo di conciliare Islam e modernità, è fallito; adesso bisogna sovvertire l’ordine politico e sociale e imporre il governo dell’Islam. Molti islamisti radicali si definiscono salafiti, dall’arabo salaf che significa «antenato». Questi radicali auspicano un ritorno all’Islam degli antenati, ossia del Profeta e dei primi quattro califfi rashidun, «saggi, ben guidati», quando l’impero arabo-islamico in rapida espansione era governato da un capo carismatico che era al tempo stesso autorità politica e guida spirituale. Secondo questa visione, al vertice di un nuovo califfato dovrebbe esserci un capo del genere, che per personalità e qualità spirituali e morali si avvicini quanto più possibile al Profeta.

Il movimento islamista radicale prende piede nel mondo musulmano in particolare dopo la bruciante sconfitta dei paesi arabi a opera di Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967, quando si manifesterà chiaramente l’inadeguatezza dei regimi al potere. A quel punto l’Islam apparirà come via d’uscita dal fallimento delle ideologie importate dall’Occidente.

Tuttavia il radicalismo islamico nasce in precedenza, fra gli anni Trenta e i Sessanta, e può essere fatto risalire in particolare al pensiero di due teorici, l’indiano Abu’l ‘Ala al-Mawdudi e l’egiziano Sayyid Qutb, i quali elaborano un sistema di pensiero volto a fare dell’Islam la fonte dell’agire politico e sociale. Secondo Mawdudi e Qutb, la fonte delle leggi è Dio, per cui quando i legislatori promulgano leggi non ispirate al Corano commettono atti di empietà e riportano la situazione al periodo della jahiliyya (da jahl, «ignoranza»), quello precedente alla rivelazione divulgata da Maometto.

 

Leggi divine e umane — Secondo Qutb in particolare, la jahiliyya è ovunque, anche nei paesi musulmani quando i governanti non si ispirano all’Islam. In questo caso è lecito il jihad contro questi stessi governanti, un concetto ripreso dal pensiero di Ibn Taymiyya, teologo musulmano del XIII-XIV secolo, il quale accusava i mongoli, convertiti all’Islam, di essere in realtà nemici dell’Islam poiché applicavano il diritto consuetudinario mongolo al posto del diritto islamico, sostituendo così le leggi divine con leggi umane.

Dal canto suo, Mawdudi ipotizza un sistema politico da lui chiamato teo-democrazia; si tratta di uno Stato etico fondato sull’Islam, con cittadini di prima e seconda classe (musulmani e non musulmani), dove la consultazione serve più che altro ad approvare la conformità delle leggi alle norme religiose. Qutb ritiene invece che la consultazione non serva: l’Islam è autosufficiente, chi governa è rappresentante di Dio e tutta la legislazione è obbligatoriamente conforme all’Islam.

 

Sayyid Qutb — La riflessione di Qutb nasce dall’osservazione della società occidentale; Qutb infatti va a studiare in America e ne rimane sconvolto, vedendo dappertutto corruzione e peccato. Secondo Qutb, nella società moderna vi sono perdita di valori, relativismo e nichilismo; ricerca della realizzazione di sé soltanto nel successo economico, nei piaceri immondi e superficiali; rivendicazioni di diritti (per esempio da parte delle donne) che turbano la società e la famiglia; mancanza di moralità, corruzione dei costumi, prostituzione e pornografia. Tutto questo è jahiliyya, e non può che esservi una lotta fra Islam e jahiliyya; poiché la gente è più attratta verso la jahiliyya che verso l’Islam, l’Islam rischia di perdere questa guerra. Allora ogni musulmano deve impegnarsi con tutte le sue forze in questa lotta.

 

Valori spirituali — La felicità si può ottenere non con i modi corrotti della società moderna bensì dando priorità ai valori spirituali e umani, coltivando carità e solidarietà, pazienza, umiltà, pietà e abbandono a Dio. Tutto questo è enunciato nel Corano, parola di Dio: è naturale che Dio sappia meglio di chiunque altro che cosa può rendere felice l’uomo. Rinunciare alla jahiliyya e tornare all’Islam significa compiere una nuova hijra (ègira, «emigrazione»), analoga a quella del profeta dalla Mecca a Medina, ma questa volta dal regno della miscredenza al regno della fede.

Secondo Qutb, la propaganda e i mezzi di comunicazione condizionano la gente a comportarsi in maniera corrotta. Giornali, libri, pubblicità sono guidati da qualcuno che ha interesse a fare andare le cose in questo modo; le autorità civili non impediscono queste depravazioni, quindi di fatto le favoriscono. Allora la religione deve instaurare un potere che guidi al bene attraverso l’applicazione dei precetti di Dio, mediante l’instaurazione di un potere teocratico (fase medinese, come il profeta a Medina). In attesa di questo evento (fase meccana, come Maometto alla Mecca) bisogna sopportare e pazientare.

 

Da Qutb a bin Laden — Le idee di Qutb vengono fatte proprie da Osama bin Laden. Il suo socio ‘Azzam, infatti, era stato allievo di Qutb; poi era andato a insegnare all’università di Gedda frequentata da bin Laden. Tra i concetti tratti dal pensiero di Qutb vi è l’esistenza di un attacco ai danni dell’Islam. Secondo Qutb, fin dalla nascita dell’Islam vi è sempre stato un tentativo di distruggere l’Islam stesso, da parte di forze esterne, e anche in tempi recenti l’Occidente capitalista e il mondo comunista erano alleati in questa lotta anti-islamica. Così bin Laden ritiene che sia in atto un’aggressione, guidata da Stati Uniti e Israele, contro il mondo musulmano. Gli americani vengono incolpati di tutti i conflitti che oppongono musulmani a non musulmani: Cecenia, Kashmir, Filippine, Palestina. L’America dovrebbe invece abbandonare il Medio Oriente, convertirsi all’Islam e porre fine all’immoralità e all’ateismo della sua società e della sua cultura. Nel mondo vi sono pertanto un partito di Dio (i musulmani) e un partito di Satana (cristiani ed ebrei, alleati in funzione anti-islamica), e vi è una lotta tra fede e jahiliyya.

 

Volontari suicidi — Tra i metodi adottati in questa lotta dell’Islam contro il partito di Satana vi è un’innovazione importante e tragica: i volontari suicidi. La nascita di questa che è una novità anche in campo religioso può essere fatta risalire alla guerra fra Iran e Iraq, durante la quale molti giovani e giovanissimi iraniani si offrono volontari per missioni in cui andranno incontro quasi sicuramente alla morte, per esempio cercando di aprire un varco nei campi minati. Gli ayatollah forniscono una giustificazione religiosa per questi atti, considerati una forma di martirio. Infatti il suicidio di per sé è condannato dall’Islam, così come dal Cristianesimo e da altre religioni, ma il martirio per la fede (e in questo caso anche per la patria) è elogiato ed esaltato. Non stupisce che questa esaltazione del martirio emerga nell’Iran sciita, dato che l’Islam sciita è da sempre una «religione del martirio», a partire dalla morte dell’imam Hussein nel 680 a Karbalà (se ne parla nel libro Religioni ieri e oggi; si veda la pagina Religioni). Sacrificarsi per la fede è un atto che al martire fa guadagnare il paradiso e alla sua famiglia procura onore e prestigio. Così i giovani iraniani vanno incontro alla morte al grido di Allahu akbar, «Dio è grande», e portando al collo le «chiavi del paradiso» con cui accedere dopo la morte alle delizie del cielo.

 

Libano e Palestina — Quando in Libano, dopo l’invasione israeliana del 1982, nasce su iniziativa iraniana il «Partito di Dio» (Hezbollah) sciita, gli iraniani trasmettono ai correligionari libanesi questa visione del martirio suicida, che assume carattere offensivo a partire dal 1983 con attacchi a israeliani, americani e francesi. Nel 1992 gli israeliani compiono nei territori occupati una vasta retata di esponenti dei movimenti islamisti palestinesi Hamas e Jihad Islamico, dopo il rapimento e l’uccisione di un poliziotto di frontiera israeliano. Oltre 400 attivisti vengono espulsi in Libano, ma il governo libanese non vuole ospitarli, cosicché gli espulsi rimangono per circa un anno nella zona controllata da Hezbollah nel sud del paese. In tal modo questi palestinesi sunniti apprendono dagli sciiti libanesi l’ideologia del martirio, che applicheranno a partire dal 1994 in Israele. Così si diffonde anche nel mondo sunnita l’idea di «andare a morire per l’Islam», un’idea ripresa poi dai terroristi islamici di tutto il mondo.

 

Conquista del potere — Tutta questa serie di motivi era alla base dell’azione terroristica di Osama bin Laden, il cui obiettivo era molto banalmente la conquista del potere. Il suo progetto politico, peraltro solo teorico, prevedeva infatti l’unione di tutti i paesi musulmani in un nuovo grande Stato islamico, con la restaurazione del califfato (possibilmente con bin Laden nella veste di califfo). I punti di forza di questo Stato dovevano essere il petrolio dell’Arabia Saudita e la bomba atomica del Pakistan. Naturalmente gli ostacoli principali erano rappresentati dai governi di questi due paesi. E infatti bin Laden, richiamandosi a Ibn Taimiyya, invitava i pakistani e soprattutto i sauditi a ribellarsi contro i loro governi, «alleati dei crociati». Più in generale, bin Laden, pur non avendo alcuna autorità religiosa riconosciuta, faceva leva sull’Islam affermando, sulla scorta di Qutb, che fosse in corso da parte dell’Occidente una campagna antimusulmana e invitando i fedeli di tutto il mondo a opporsi con la violenza a questa «crociata» occidentale.

 

Guerra agli Usa — La guerra agli Usa divenne esplicita nel 1996. Su pressione degli Usa ma anche dei paesi mediorientali (in particolare dell’Egitto dopo un attentato al presidente Mubarak), bin Laden fu espulso dal Sudan, dove aveva creato una sorta di base internazionale dei movimenti islamisti radicali, e si trasferì in Afghanistan, da dove pronunciò una dichiarazione di guerra agli Usa e al regime saudita, con riferimenti al Corano e a Ibn Taimiyya. Nel 1998 creò un’alleanza con vari gruppi islamisti in funzione antiamericana, emettendo una fatwa (responso giuridico) per invitare a colpire gli americani e i loro alleati, dopo di che vi furono gli attentati alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania. Nell’Afghanistan dominato dai talebani continuavano ad affluire volontari per il jihad, che venivano addestrati e ricevevano piccole somme di denaro per organizzare attentati nei paesi d’origine o in Occidente. L’attività terroristica culminò con gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, ma vide poi numerose stragi in varie località del mondo, fra cui Madrid nel 2004 e Londra nel 2005.

 

Società moderna — La campagna terroristica di bin Laden e soci può essere considerata un attacco alla società moderna, allo scopo di risospingere il mondo verso il passato, addirittura verso il VII secolo, con uno Stato islamico in costante espansione e in guerra continua contro gli «infedeli». È quello che sta cercando di mettere in pratica, fra Siria e Iraq, lo Stato islamico dell’Isis, con una base territoriale che bin Laden non aveva.

Il consenso che queste idee riscontrano nei paesi musulmani, soprattutto arabi, va ricercato nel sentimento di insoddisfazione per la situazione di disagio economico e sociale in cui vive gran parte della popolazione di tali paesi; una situazione dovuta all’incapacità dei governi di favorire l’industrializzazione e garantire così uno sviluppo economico adeguato. Anche nei paesi produttori di petrolio, infatti, i proventi petroliferi hanno arricchito l’oligarchia al potere, mentre la maggioranza della popolazione ne ha tratto soltanto un beneficio indiretto, e la situazione economica è legata sempre e soltanto al prezzo del petrolio. Non si è perciò creata una classe imprenditoriale in grado di ampliare le fonti di reddito del paese e di svincolarsi almeno in parte dalla vendita di greggio.

Inoltre il fatto che in Arabia Saudita e in altri paesi produttori di petrolio i proventi dello Stato scaturiscano per così dire dal sottosuolo e non derivino invece dalla tassazione fa sì che i cittadini non abbiano nessun controllo sulla gestione delle risorse economiche e che i governanti non siano tenuti a rispondere del loro operato, il che causa corruzione e caos finanziario.

 

Presupposto — Così in questi paesi viene a mancare il presupposto dello Stato moderno: una tassazione dei redditi dei cittadini, in cambio della quale questi ultimi ottengono una partecipazione alla gestione della cosa pubblica (democrazia). In mancanza di questo presupposto è difficile se non impossibile che si creino istituzioni valide e che si favorisca l’iniziativa individuale e lo sviluppo economico, aspetti, questi ultimi, resi ancora più difficili dalla discriminazione che ostacola fortemente il lavoro delle donne e priva così tali paesi dell’apporto di metà della popolazione. Pertanto la situazione socioeconomica insoddisfacente di questi paesi è dovuta principalmente all’incapacità dei governanti di utilizzare in maniera adeguata le risorse umane e finanziarie disponibili. Naturalmente a tali governanti fa comodo che l’insoddisfazione popolare si esprima in risentimento verso l’America e l’Occidente, o verso Israele, anziché verso di loro.

 

Società agricola — Cercando di guardare le cose da una prospettiva più ampia, si può osservare che la contrapposizione ideologica o culturale fra il mondo musulmano (e specialmente arabo) e l’Occidente è dovuta al passaggio dalla società agricolo-pastorale alla società industriale. La grossa frattura nel mondo di oggi è fra paesi già industrializzati e paesi non ancora industrializzati. Fra questi ultimi, i paesi arabo-musulmani sono fra i più arretrati e hanno conservato la mentalità della società agricolo-pastorale, di cui l’Islam (come il Cristianesimo e tutte le altre religioni) è portavoce.

Il mondo moderno, con le sue caratteristiche di laicità, permissivismo, consumismo, democrazia, emancipazione della donna, pluralismo, è in contrasto con la mentalità della società precedente e quindi con il modo di pensare religioso che riflette tale mentalità. Questa è l’origine dell’avversione di molti musulmani nei confronti del mondo industrializzato.

 

Malintesi — Su questo atteggiamento si innesta un malinteso, che identifica il mondo occidentale con il mondo cristiano, poiché il Cristianesimo era la religione tradizionale europea. «Era» perché ormai l’Europa è secolarizzata e ha acquisito una mentalità molto lontana da quella predicata dal Cristianesimo; per gli Usa il discorso è leggermente diverso, ma in ogni caso le critiche rivolte dal mondo islamico all’Occidente sono le stesse che a questo rivolgono il Cristianesimo e le altre religioni; le accuse di Sayyid Qutb alla società moderna sono simili a quelle formulate a cavallo fra XIX e XX secolo dai papi Pio IX e Pio X. Pertanto non vi è nulla di propriamente islamico in questo atteggiamento ostile verso il mondo moderno.

Con un altro malinteso, i paesi occidentali, e in primo luogo gli Usa, vengono considerati in qualche modo responsabili della situazione di arretratezza dei paesi arabo-islamici. Anche se, nel periodo del colonialismo, i paesi occidentali in Medio Oriente hanno sempre coltivato i propri interessi, senza curarsi di quelli della popolazione locale, negli ultimi decenni è mancata la volontà dei governi mediorientali di creare le basi per uno sviluppo economico e sociale, anziché privilegiare l’arricchimento personale e la permanenza al potere. In effetti non si vede né in quale maniera si possa attribuire tale arretratezza all’Occidente anziché ai governi locali, né quale vantaggio potrebbe trarre l’Occidente dal perdurare di una simile situazione di povertà economica e culturale in questi paesi.

Quanto a malintesi, ne è vittima anche il mondo occidentale quando prende alla lettera i proclami di Osama bin Laden e dei suoi emuli e ritiene che davvero vi sia una guerra contro l’Islam nel suo insieme. Le idee estremistiche e violente dei terroristi islamici rappresentano in realtà solo una visione minoritaria nel mondo musulmano, anche se la retorica dei predicatori può infiammare le piazze e le moschee. I milioni di musulmani che vivono nei paesi europei, in Canada e negli Stati Uniti, ma sempre di più anche paesi islamici come Turchia e Indonesia, dimostrano che l’Islam non è incompatibile con la società moderna.

 

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