Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                                                 Pagina iniziale > Articoli > Palestina 4

STORIA DELLA PALESTINA (4)

 

 

 

Rivolte e attentati

 

Dalla fine degli anni Venti fino allo scoppio della seconda guerra mondiale la Palestina vide una serie di rivolte da parte della popolazione araba. Mentre l’immigrazione ebraica proseguiva, e poi si intensificava dopo l’avvento al potere di Adolf Hitler in Germania, l’atteggiamento degli arabi nei confronti degli ebrei divenne sempre più aggressivo. Va osservato tuttavia che le due popolazioni, soprattutto negli anni Venti, ma poi anche fino ai Quaranta, trovavano un modo per convivere. C’erano società commerciali miste, ebraiche e arabe, organizzazioni sindacali che operavano congiuntamente in occasione di scioperi e manifestazioni, manodopera araba che lavorava nelle aziende agricole e manifatturiere ebraiche. Erano invece le classi dirigenti, sia ebraiche sia arabe, a puntare sulla contrapposizione e sul conflitto; una situazione del genere perdura in parte ancora oggi.

Nel 1929 scoppiò una prima rivolta araba spontanea, innescata da una polemica sui luoghi sacri di Gerusalemme. La rivolta, come tutte le successive, fu soffocata con molta durezza dai britannici. All’inizio degli anni Trenta ‘Izz al-Din al-Qassam (1895-1935), siriano trapiantato a Haifa, predicò un’ideologia islamica farcita di nazionalismo e diede avvio alla guerriglia nel nord della Palestina, attaccando ebrei e britannici. Ucciso dai soldati britannici nel 1935, divenne eroe e martire. (Oggi l’ala militare di Hamas si chiama Brigate al-Qassam, e anche alcuni razzi che vengono lanciati contro Israele si chiamano Qassam, sempre in omaggio a questo martire.)

 

Amministrazione — Frattanto i britannici avevano concesso agli ebrei l’istituzione dell’enclave amministrativa ebraica. Gli ebrei, considerati europei e quindi in grado di amministrarsi da sé, a differenza degli arabi, poterono così occuparsi, tramite l’Agenzia ebraica, di scuole, servizi sanitari e assistenziali e gestione delle entrate fiscali, oltre che dell’immigrazione e, segretamente, dell’afflusso di armi per i reparti paramilitari chiamati Haganàh («difesa»). Questa esperienza si sarebbe rivelata molto utile al momento della nascita dello Stato di Israele, ma in tal modo si accrebbero le divisioni con gli arabi.

Nel 1936 lo scontento arabo nei confronti dei sionisti si tradusse in scioperi e manifestazioni, che sfociarono poi in scontri con la polizia britannica. La rivolta, guidata da Amin al-Husseini che faceva affluire armi ai ribelli, provocò una dura reazione da parte britannica, ma anche l’istituzione di una commissione, guidata da Lord Peel, per un’analisi della situazione.

 

Commissione Peel — Constatata l’impossibilità di una convivenza pacifica tra le due popolazioni, la commissione Peel propose la divisione della Palestina in due Stati, con l’annessione della maggior parte del territorio alla Transgiordania, lasciando in mano britannica alcune zone strategiche (con un corridoio da Gerusalemme al porto di Giaffa) e assegnando una piccola parte di territorio, circa il 20 per cento del totale, dalla Galilea a nord lungo la fascia costiera fino a Tel Aviv, a uno Stato ebraico. La proposta prevedeva anche il trasferimento forzato degli arabi dal territorio ebraico verso lo Stato arabo. I sionisti accettarono a malincuore la proposta, confidando in un futuro allargamento del loro territorio, ma i palestinesi rifiutarono perché non volevano dividere la Palestina con gli ebrei. Il rifiuto fu probabilmente un errore: i palestinesi non potevano saperlo all’epoca, ma non avrebbero mai più ricevuto una proposta tanto vantaggiosa.

La rivolta araba si intensificò, protraendosi fino al 1939, e fu repressa spietatamente, con violenze, impiccagioni, torture. Amin al-Husseini, gran mufti e capo della rivolta, fu costretto a lasciare la Palestina. In Europa si legherà a nazismo e fascismo e, screditato, non potrà più tornare in Palestina.

 

Libro Bianco — Nel 1939, accantonata l’idea della divisione della Palestina, i britannici cambiarono completamente atteggiamento e pubblicarono un Libro Bianco che cercava di venire incontro alle richieste palestinesi, limitando l’immigrazione ebraica e l’acquisto di terre da parte degli ebrei, ma questo proprio nel momento di massima persecuzione ebraica in Europa, per cui si alimentarono l’immigrazione clandestina e la formazione di organizzazioni paramilitari ebraiche. Con queste vicende i sionisti si convinsero ancor più che la soluzione risiedesse nella potenza militare.

In questo periodo gli arabi di Palestina erano convinti che i britannici stessero dalla parte dei sionisti e volessero a tutti i costi aiutarli a creare uno Stato ebraico, mentre gli ebrei si ritenevano traditi dai britannici e li accusavano di volersi rimangiare le promesse della Dichiarazione Balfour e del Mandato, prefigurando uno Stato palestinese indipendente, a maggioranza araba. Questa duplice ostilità denota il totale fallimento della politica britannica in Palestina.

 

Volontari in guerra — La preparazione militare sionista trasse vantaggio anche dalla partecipazione di molti volontari alla seconda guerra mondiale nell’esercito britannico contro i nazisti. Durante la guerra il dilemma dei sionisti era quale atteggiamento assumere. I nazisti erano evidentemente il nemico principale, ma il Libro Bianco aveva reso ostili anche i britannici, i quali però fino al 1941 rimasero gli unici a continuare a combattere contro Hitler. Ben-Gurion risolse il dilemma con una celebre affermazione: «Combatteremo a fianco dell’esercito britannico contro i tedeschi come se il Libro Bianco antisionista del 1939 non esistesse, e combatteremo contro il Libro Bianco come se la guerra contro i tedeschi non esistesse».

La grande rivolta araba provocò anche una reazione da parte ebraica. A partire dal 1937 vari gruppi paramilitari sionisti compirono attentati contro la popolazione araba, con stragi e bombe sugli autobus. La più importante di queste organizzazioni si chiamava Irgùn Tzvaì Leumì (Organizzazione militare nazionale), era stata presieduta da Vladimir Jabotinsky e negli anni Quaranta era guidata da Menachem Begin, che un trentennio più tardi sarebbe diventato primo ministro di Israele e artefice della pace con l’Egitto. L’Irgun scatenò una campagna terroristica contro britannici e palestinesi. L’azione più grave sarebbe stata l’attentato al King David Hotel di Gerusalemme, sede dell’amministrazione civile britannica, nel 1946, con circa 90 morti, civili britannici, arabi ed ebrei. Certamente all’epoca Begin non avrebbe mai immaginato che qualche decennio più tardi sarebbe stato insignito del premio Nobel per la pace.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale l’Irgun decise di sospendere le azioni terroristiche; alcuni suoi membri si staccarono dall’organizzazione e crearono la Banda Stern (dal nome del fondatore, Avraham Stern), che proseguì gli attentati. Dei vertici della Banda Stern faceva parte anche Yitzhak Shamir, che negli anni Ottanta sarebbe a sua volta diventato primo ministro di Israele.

 

 

 

La nascita di Israele

 

Al termine della seconda guerra mondiale vennero pienamente alla luce le atrocità dei nazisti a danno degli ebrei, con i 6 milioni di morti della Shoàh («catastrofe»). A quel punto, della necessità di creare uno Stato ebraico in Palestina era convinto ormai tutto il mondo, sia a livello di opinione pubblica, sia a livello di governi, a cominciare da Stati Uniti e Unione Sovietica. Dall’orrore della Shoàh, in effetti, giunse la spinta decisiva verso la nascita dello Stato ebraico. Tuttavia questo processo fu gestito molto male e alla fine, per riparare a un torto fatto agli ebrei, si fece un torto ai palestinesi.

La svolta giunse nel 1947, quando i britannici annunciarono il ritiro dalla Palestina. Stremata dalla guerra, anche finanziariamente, la Gran Bretagna voleva cominciare a liberarsi delle colonie più difficili da gestire: India e Palestina. In entrambi i casi i britannici annunciarono il loro ritiro con circa un anno di anticipo, procedendo poi a tale ritiro senza curarsi di quanto sarebbe successo in seguito. Nel subcontinente indiano il territorio fu diviso tra India e Pakistan, ma gli scontri durante i vasti spostamenti di popolazioni causarono forse un milione di morti, e ancora oggi i due paesi si combattono. In Palestina il numero di morti fu molto inferiore, ma vi furono 700 mila profughi e la situazione è tuttora di ostilità e violenza.

 

Palestina ingestibile — Alla fine della seconda guerra mondiale era chiaro come la Palestina fosse ingestibile: per via della tensione continua, degli attentati e degli scontri fra arabi ed ebrei, vi erano più soldati britannici nella piccola Palestina che nell’enorme India. La questione venne affidata alla neonata Onu, che inviò una commissione (chiamata Unscop) composta da 11 membri, nessuno dei quali sapeva granché della Palestina. Gli ebrei accolsero la commissione con tutti gli onori e presentarono uno schema di divisione del territorio, mentre i palestinesi la ricevettero con ostilità e non proposero alternative credibili. Va osservato che i sionisti erano ormai pronti a costruire un loro Stato, grazie all’esperienza amministrativa accumulata negli ultimi quindici anni, ma erano anche preparati militarmente, poiché sapevano di dover combattere per difendere il nascente Stato ebraico. Invece gli arabi non avevano ancora fatto nulla per prepararsi a creare e gestire uno Stato. Sapevano soltanto di non volere la nascita di uno Stato ebraico in Palestina, ma non avevano progetti concreti, né erano organizzati dal punto di vista militare.

 

Proposta dell’Onu — Alla fine la commissione dell’Onu presentò una proposta di maggioranza, che prevedeva la divisione del territorio in uno Stato ebraico e in uno Stato arabo; questa proposta era sostenuta dai rappresentanti di Canada, Cecoslovacchia, Guatemala, Paesi Bassi, Perù, Svezia e Uruguay. Una proposta di minoranza, sostenuta da India, Iran e Jugoslavia (mentre il rappresentante australiano si astenne), prevedeva invece un unico Stato federale binazionale. La proposta di maggioranza fu poi accettata dall’assemblea dell’Onu il 29 novembre 1947 con la risoluzione 181, approvata con 33 voti a favore (tra cui Usa e Urss) e 13 contrari, con 10 astensioni (tra cui la Gran Bretagna). La risoluzione stabiliva pertanto la divisione della Palestina in uno Stato ebraico sul 55% del territorio e in uno Stato arabo sul 45%. Mentre lo Stato arabo comprendeva una schiacciante maggioranza di arabi, quello ebraico aveva una popolazione composta da 500 mila ebrei e 400 mila arabi.

La soluzione proposta era un incubo strategico: i confini tra i due Stati non erano difendibili. Inoltre si prevedeva un’unione economica fra le due entità, ma tutto questo poteva andar bene solo in un clima di pace e collaborazione, ben lontano dalla situazione reale della Palestina. Mentre gli ebrei si preparavano a combattere ed elaboravano piani per ingrandire il territorio assegnato allo Stato ebraico, gli arabi erano disuniti e rifiutarono questa proposta dell’Onu, sia perché ritenevano che tutta la Palestina fosse loro e pertanto non dovesse essere spartita con gli ebrei, sia perché temevano che i sionisti accettassero la divisione solo come primo passo verso la conquista dell’intero territorio. La divisione era ritenuta assai svantaggiosa per gli arabi, poiché assegnava una maggioranza di territorio allo Stato ebraico, mentre all’epoca in Palestina vi erano un milione e 293 mila arabi (musulmani e cristiani) e 608 mila ebrei. Inoltre i palestinesi erano convinti di potersi prendere tutto, grazie all’appoggio politico e militare promesso dagli Stati arabi limitrofi. Anche quando i paesi arabi intervennero, però, erano male equipaggiati e scoordinati. Per di più il numero totale di combattenti era maggiore da parte ebraica.

 

Guerra di indipendenza — Prima dell’approvazione del piano da parte dell’assemblea dell’Onu, Golda Meir, dirigente dell’Agenzia ebraica che in seguito sarebbe diventata primo ministro di Israele, si incontrò segretamente con ‘Abdullah di Transgiordania per trovare un accordo: i giordani non avrebbero interferito con le manovre israeliane volte a conquistare vari territori arabi, e in cambio si sarebbero presi la Cisgiordania. L’accordo non venne formalizzato, perché la situazione precipitò, con scontri in tutto il paese subito dopo il voto all’Onu.

Incominciò così una prima fase di quella che gli israeliani chiamano guerra di indipendenza, con combattimenti fra arabi ed ebrei, mentre le truppe britanniche lasciavano il paese. Nel marzo del 1948 i sionisti adottarono il Piano D, che prevedeva la cattura di territori arabi con l’espulsione degli abitanti e spesso anche la distruzione dei villaggi. Il Piano fu applicato nei mesi di aprile e maggio 1948, prima cioè della proclamazione dello Stato di Israele e dell’intervento armato dei paesi arabi. I sionisti attuarono quella che oggi chiameremmo pulizia etnica, espellendo dal territorio ebraico la maggior parte della popolazione araba, in particolare dalla fascia costiera tra Haifa e Tel Aviv. Gli arabi espulsi si rifugiarono in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e nei paesi arabi limitrofi. Pertanto l’ondata principale di profughi palestinesi si ebbe prima dell’intervento degli Stati arabi.

 

Nasce Israele — Il 14 maggio 1948, mentre gli ultimi soldati britannici lasciavano la Palestina, Ben-Gurion a Tel Aviv lesse la dichiarazione di indipendenza e proclamò la nascita dello Stato di Israele (in ebraico Medinat Yisrael). Il giorno successivo le truppe di Transgiordania, Siria, Egitto, Libano e Iraq invasero la Palestina.

Tralasciando i dettagli sull’andamento della guerra di indipendenza (il discorso sarà ripreso in un articolo successivo), bisogna dire che alla fine le cose andarono come delineato nell’accordo fra la Meir e ‘Abdullah: la Transgiordania occupò la Cisgiordania, difese Gerusalemme Est e con i territori così conquistati istituì il Regno di Giordania. La Striscia di Gaza fu occupata dall’Egitto. Il neonato Stato di Israele ampliò il proprio territorio fino al 78% della Palestina, mentre aumentò il numero dei profughi arabi, che al termine della guerra, nel gennaio del 1949, risulteranno essere circa 700 mila.

 

Armistizi — Dopo alcuni mesi di negoziati condotti sotto l’egida dell’Onu nell’isola greca di Rodi, vennero firmati gli armistizi fra Israele e i paesi confinanti. Fra questi accordi, il più ampio e importante può essere considerato quello con la Giordania, di cui vanno sottolineati due aspetti, uno positivo e uno negativo. L’aspetto positivo è principalmente l’esistenza stessa dell’accordo: come sappiamo oggi, non è frequente un’intesa fra arabi e israeliani. Certamente l’accordo fu facilitato dal fatto che all’epoca israeliani e giordani avessero interessi complementari, nel senso che in tal modo gli uni e gli altri espandevano il proprio territorio. Tuttavia anche negli anni successivi Israele avrà con la Giordania una stretta collaborazione; se un analogo rapporto di dialogo fosse stato instaurato con gli altri paesi arabi, forse si sarebbero evitate diverse guerre.

L’aspetto negativo dell’accordo è che in questo modo si eliminava di fatto lo Stato palestinese. Al termine della guerra di indipendenza, lo Stato ebraico nasceva su un territorio più vasto di quello previsto dall’Onu, mentre il territorio assegnato allo Stato arabo non esisteva più: una parte era stata inglobata da Israele; la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, si annetteva alla Giordania, mentre la piccola Striscia di Gaza veniva amministrata (ma non annessa) dall’Egitto.

L’accordo ebbe un epilogo tragico con l’assassinio di re ‘Abdullah nel 1951 a opera di un palestinese (forse legato al mufti Amin al-Husseini). È una sorte che in seguito sarebbe toccata anche al presidente egiziano Sadat e al primo ministro israeliano Rabin, tutti uccisi da loro connazionali che li accusavano di avere fatto la pace col nemico. Una pace soltanto parziale, visto che ancora oggi in Palestina non si può parlare di pace.

 

 

 

Per approfondire

 

David Fromkin, A Peace to End All Peace (trad. it. Una pace senza pace, Rizzoli, Milano 2002).

Albert Hourani, A History of the Arab Peoples (trad. it. Storia dei popoli arabi, Mondadori, Milano 1992).

Benny Morris, Righteous Victims: A History of the Zionist-Arab Conflict (trad. it. Vittime, Rizzoli, Milano 2005).

Ilan Pappe, A History of Modern Palestine (trad. it. Storia della Palestina moderna, Einaudi, Torino 2005).

 

 

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