Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                                           Pagina iniziale > Religioni > Superstizioni

SUPERSTIZIONI

 

 

Solitamente si riconoscono tre tipi di superstizioni: religiose, culturali e personali. In campo religioso (come si è detto nell’articolo Magia) non è facile distinguere la superstizione dalla religione vera e propria. Inoltre il termine in questo contesto ha sempre una connotazione negativa, nel senso che ognuno considera superstizioni le pratiche di altre religioni, mai della propria. Così un cristiano potrà considerare superstiziose le pratiche religiose dell’Induismo, ma non quelle del Cristianesimo; e un non credente riterrà superstiziose le pratiche di qualunque religione.

La differenza tra pratica religiosa e superstiziosa spesso è molto sottile e dipende dall’atteggiamento della persona. Per esempio, un tempo si usavano in Europa lunghe strisce di carta con preghiere che avrebbero avuto effetto col semplice acquisto, senza necessità di recitarle; qui si può vedere un’analogia con i tamburi delle preghiere del lamaismo tibetano, che i buddhisti fanno ruotare e in tal modo considerano recitate le preghiere scritte sui rotoli, e con i filatteri ebraici, le pergamene con passi biblici che si tengono legate al braccio e alla testa durante la preghiera.

I versetti della Bibbia erano usati come amuleti o collocati sotto il cuscino dell’ammalato. Poiché la medicina era in pratica inesistente (se ne parla nell’articolo Guarigioni), per guarire ci si affidava all’intervento di divinità oppure, nel Cristianesimo soprattutto in versione cattolica, di santi «specializzati» nella cura di malattie particolari: San Biagio guariva il mal di gola, San Lorenzo i reumatismi, Sant’Apollonia il mal di denti, San Sebastiano e San Rocco la peste, mentre Santa Barbara proteggeva contro il fulmine. Allora si acquistavano nei santuari immagini del santo «competente» che si utilizzavano poi per invocare la guarigione, in certi casi addirittura inghiottendo il «santino».

 

Magia delle parole — Si tratta di religione o di superstizione? Non è facile dare una risposta. Tuttavia, in un mondo contadino popolato soprattutto di analfabeti, l’attribuzione di poteri magici alle parole sacre dei versetti biblici è perfettamente comprensibile. A un livello culturale più elevato vi era invece la cosiddetta bibliomanzia: si inseriva un ago o un coltello nella Bibbia chiusa e si prendeva la parola o la frase indicata dalla punta del coltello o dell’ago come risposta soprannaturale alla questione presentata (una tecnica praticata già da Sant’Agostino). Di nuovo non è facile tracciare il confine tra religione e superstizione.

Come si può vedere, in molte situazioni del genere è fondamentale il potere magico attribuito alle parole. Un tempo si riteneva infatti che le parole e gli oggetti o eventi da esse designati fossero due aspetti inseparabili della stessa realtà, vale a dire che menzionando una data cosa si evocasse magicamente la cosa stessa. Ancora oggi molte persone, soprattutto anziane, evitano di pronunciare le parole «morire» o «morte», dicendo per esempio «Tizio è mancato» anziché «è morto». Questo proprio perché si credeva che il fatto di menzionare la morte la evocasse, e quindi si causasse in tal modo la morte di qualcuno. Così chi prediceva sventure era accusato di provocarle con il solo fatto di nominarle.

 

Scaramanzia — Ma la parola poteva anche avere un effetto opposto e scacciare invece la buona sorte. Allora molti non esprimevano valutazioni positive su di sé («sono in perfetta salute») o auguri («diventeremo ricchi») senza accompagnarli con gesti scaramantici, nel timore che il solo fatto di evocare casi favorevoli potesse allontanare la fortuna e la salute. Allo stesso modo oggi gli studenti italiani non vogliono sentirsi dire «auguri» per esempio prima di un esame, preferendo altre espressioni come «in bocca al lupo»; quest’ultimo è un augurio tipico dei cacciatori, che a loro volta non vogliono sentirsi dire «buona caccia».

Con questi esempi siamo arrivati alle superstizioni di tipo culturale, quelle cioè che si sviluppano in una comunità e sono considerate valide per tutti gli appartenenti a quel gruppo umano. Molte di queste, in Italia e altrove, derivano dalla solita paura della morte e dal timore di evocarla anche in maniera indiretta con gesti che possano far venire in mente una situazione legata al decesso. Alla base di queste credenze vi è la magia imitativa di cui si è parlato nell’articolo Magia.

 

Estrema unzione — Per esempio, nel passato, quando una persona stava per morire, veniva chiamato il sacerdote perché amministrasse l’estrema unzione (oggi chiamata unzione degli infermi e dei morenti), sacramento cattolico con cui si prepara il moribondo al suo trapasso nell’aldilà. Ovviamente l’arrivo del prete per questo rito era segno di lutto imminente, e allora erano considerati sfortunati tutti quei gesti che caratterizzavano la cerimonia. Siccome il sacerdote indossava un cappello che poi si toglieva e appoggiava sul letto dell’infermo, ecco che appoggiare il cappello sul letto in qualunque altra occasione era ritenuto un gesto di malaugurio. Allo stesso modo, un tempo il sacerdote arrivava in casa del moribondo procedendo sotto un baldacchino retto dai suoi assistenti; in seguito, poiché il baldacchino era costoso, si incominciò a usare in sua vece un ombrello. Allora tenere un ombrello aperto in casa fu considerato presagio di sventure, poiché l’unico ad arrivare in casa con l’ombrello aperto era per l’appunto il prete che visitava i moribondi.

Le superstizioni di carattere culturale si sviluppano in una determinata comunità e si tramandano spesso da una generazione all’altra. Esistono però anche superstizioni personali, che ognuno di noi può inventare e di fatto inventa, soprattutto nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza, quando è massimo il bisogno di rassicurazione e di certezze. Infatti le superstizioni in generale traggono origine dalla necessità di spiegare il funzionamento del mondo e di far sì che le cose vadano in un certo modo (se ne parla più diffusamente nell’articolo Causa ed effetto).

 

Talismani e amuleti — Vediamo adesso altri esempi di superstizioni di carattere culturale. Riepilogando, alla base di tutte queste tradizioni vi sono, da un lato, la credenza in un legame nascosto, di tipo magico, fra certi oggetti e gli eventi del mondo e, dall’altro lato, il desiderio di trovare oggetti, azioni o persone che possano propiziare la buona sorte o viceversa il desiderio di evitare quelli che apportano sventura. È antichissima e presente in tutte le culture l’usanza di portare talismani (oggetti che attraggono la fortuna) e amuleti (oggetti che tengono lontano la malasorte e gli spiriti maligni).

Il più classico degli amuleti, almeno in Italia, è il corno, a cui già in epoca greco-romana si attribuiva un potere apotropaico, cioè di difesa contro gli spiriti maligni. L’origine di questa credenza si deve probabilmente al fatto che le corna rappresentano il vigore sessuale degli animali. Anticamente si attribuiva un potere energetico alla sessualità maschile, per cui il fallo eretto veniva spesso rappresentato sulle pareti delle case come portafortuna o meglio come simbolo di protezione contro la malasorte; così per esempio nelle raffigurazioni osservabili a Pompei.

 

Fertilità — Più in generale la sessualità è simbolo di fertilità, e perciò, associando, sempre per magia imitativa, la fertilità umana alla fertilità dei campi e quindi a buoni raccolti, indica abbondanza, ricchezza e fortuna. In tal modo sono giunti fino a noi dei gesti scaramantici da utilizzare quando si vuole scongiurare una sventura: toccare un corno, che si porta sempre con sé come amuleto e che spesso è realizzato in corallo, materiale a cui pure è attribuita un’efficacia contro la iella; fare le corna con la mano, allungando indice e mignolo mentre il pollice tiene piegate le altre dita; toccarsi i testicoli, pure in segno di richiamo alla fertilità per scacciare il male. Per le donne, un gesto equivalente era toccarsi ripetutamente il sedere, abitudine da cui forse deriva l’uso colloquiale di «culo» per definire la fortuna. Anche mostrare il sedere, oltre che gesto di scherno, era considerato in molti luoghi un’azione scaramantica e apotropaica. Si narra per esempio che Martin Lutero stesse spesso a letto col sedere nudo perché convinto di potere in tal modo scacciare il diavolo.

Spesso gli amuleti erano realizzati in metallo, forse perché il metallo lucido può agire da specchio riflettendo la luce e allo stesso modo può «riflettere» e quindi ricacciare indietro gli influssi maligni e le disgrazie. Così porta fortuna toccare ferro o per esempio trovare un ferro di cavallo. In molte superstizioni si pone l’accento sul fatto che l’oggetto portafortuna, per avere efficacia, debba essere trovato per caso o ricevuto in regalo, o addirittura rubato, non però acquistato; questo forse per evitare che ne facesse incetta chi aveva maggiore disponibilità di denaro e pertanto meno bisogno di fortuna. Più in generale varie credenze di questo tipo si basano su comportamenti insoliti o contrari al normale, come indossare abiti a rovescio o gettare qualcosa dietro le spalle, per sottolineare l’eccezionalità della buona sorte attesa.

 

Animali — Diverse tradizioni riguardano fortuna e sfortuna apportate da vari animali. In Italia per esempio un «ragno porta guadagno», ma anche in altre tradizioni il ragno è associato alla pioggia e alla fertilità. Questo perché i ragni si notano spesso appesi al loro filo, di cui non sempre si vede l’inizio. Pertanto sembrano discendere dal cielo e recarne i doni, in particolare la pioggia; e pioggia significa fertilità dei campi, quindi benessere e guadagno.

Un animale da sempre ritenuto inquietante è il gatto. Le sue capacità di muoversi silenziosamente e di vedere nel buio hanno sempre suggerito, specie nel mondo mediterraneo, un accostamento del gatto alle forze infernali. Il gatto nero, in particolare (il nero è in Europa il colore del lutto), è stato spesso considerato presagio di morte o di sventura, e in Europa all’epoca della caccia alle streghe furono processati e condannati a morte anche dei gatti, ritenuti incarnazioni di streghe.

 

Buone maniere — Alcune superstizioni avevano intenti pedagogici e insegnavano le buone maniere: se ci si siede sul tavolo, vengono le piaghe; se non ci si mette la mano davanti alla bocca quando si sbadiglia, vi entra il diavolo (o più banalmente le mosche); chi sputa nel fiume si ammala (la saliva era considerata terapeutica e non bisognava sprecarla). Altre superstizioni inducevano comportamenti parsimoniosi, indispensabili in epoche di miseria: per esempio, versare il sale o l’olio, beni preziosi e costosi nel passato, era considerato di malaugurio. Altre ancora fornivano consigli pratici: passare sotto una scala portava sfortuna perché era semplicemente pericoloso, si rischiava di restare colpiti da qualche oggetto o dalla scala stessa che poteva cadere; bere acqua dopo avere mangiato frutta era da evitare perché nelle zone agricole l’acqua, a causa del letame usato come concime, era contaminata da vari germi che potevano fare fermentare la frutta nello stomaco, causando dolori al ventre e diarrea. Per inciso, questo problema ha indotto tutti i popoli del passato a produrre bevande fermentate (birra, vino eccetera), in modo da uccidere almeno gran parte dei germi contenuti nell’acqua.

 

Maledizione italiana — Un consiglio pratico di questo genere, di origine molto recente, è diventato una superstizione in quanto privo di fondamento, ed è la maledizione che colpisce i bambini italiani al mare: il divieto cioè di fare il bagno dopo mangiato. L’origine è un opuscolo su nuoto e salute diffuso dalla Croce Rossa americana una cinquantina di anni fa, in cui si sconsigliava di praticare questo sport dopo mangiato per evitare i crampi allo stomaco e perfino l’annegamento. La stessa Croce Rossa in seguito ha smentito queste sue affermazioni, ma in Italia non se n’è accorto nessuno. Rischi di questo genere in effetti non ce ne sono, si può nuotare tranquillamente a stomaco pieno; a chi pratica immersioni subacquee viene anzi consigliato di mangiare qualcosa prima di entrare in acqua, per evitare un’eccessiva contrazione dello stomaco a causa della pressione. Certamente, un pasto abbondante seguito da una nuotata intensa può provocare malori, ma lo stesso vale anche se dopo avere mangiato molto ci si mette a praticare esercizi ginnici o qualunque attività fisica molto intensa, come salire le scale o spaccare legna.

 

Consuetudini — Molte usanze arrivate fino a noi traggono origine da atti scaramantici o propiziatori, ma il significato è andato perduto ed è rimasta soltanto la consuetudine. Spegnere, generalmente con un unico soffio, le candeline sulla torta di compleanno indica che il soffio vitale è ancora vigoroso; suonare il clacson nel corteo nuziale serve a scacciare gli spiriti maligni dalla nuova coppia; avere paggetti e damigelle a un matrimonio è augurio di fertilità, perché la presenza di bambini accanto alla sposa dovrebbe indurre magicamente la donna ad avere figli.

Fra le tante usanze che riguardano il matrimonio, conosciamo dai film americani quella che vuole lo sposo prendere in braccio la moglie per farle oltrepassare la soglia della nuova casa. Questa tradizione è di origine nordica ed è stata portata negli Stati Uniti dagli immigrati scandinavi. Deriva dalla credenza secondo cui sotto la soglia dimoravano gli spiriti degli antenati, forse perché un tempo lì si seppellivano i morti. Il gesto serviva a garantire alla sposa l’ingresso nella casa del marito, ossia in uno spazio magico riservato ai componenti della famiglia, senza che gli spiriti protettori la aggredissero considerandola estranea.

 

Giorni e numeri — Il desiderio di prevedere il futuro portava ad attribuire caratteristiche fisse a determinati giorni e periodi, così sia ai giorni della settimana sia alle festività si attribuivano doti particolari, positive o negative (giorni fausti e infausti). Le tradizioni in questo senso sono molto variabili da paese a paese, non è il caso di soffermarvisi; è sufficiente ricordare il venerdì, considerato giorno nefasto nel mondo cristiano perché ricorda la crocifissione di Gesù. Invece la quaresima, periodo di penitenza precedente la Pasqua, ha dato origine all’avversione per il colore viola diffusa nel mondo dello spettacolo. Infatti durante questo periodo i paramenti sacri sono di colore viola. Poiché nel medioevo in molte località erano proibiti gli spettacoli teatrali durante la quaresima, il viola è diventato sinonimo di sventura per attori e musicisti.

Anche i numeri possono essere portatori di buona o cattiva sorte; pure qui ci sono svariate tradizioni. Per esempio, gli antichi romani ritenevano fasti i numeri dispari e nefasti i pari. Così quando Giulio Cesare introdusse la sua riforma del calendario, con un anno bisestile ogni quattro, il giorno in più nel mese di febbraio, chiamato bis sextus (da cui «bisestile») perché inserito fra il sesto e il settimo giorno, fu considerato doppiamente sfortunato, e ancora oggi in varie zone d’Italia si sente dire «anno bisesto, anno funesto».

Più spesso sono considerati nefasti invece i numeri dispari, in particolare i numeri primi, non divisibili e quindi difficili da gestire nei calcoli. Come sappiamo, in Italia è considerato sfortunato il 17, ma l’origine di tale credenza è controversa. Probabilmente è dovuta al fatto che questo numero in cifre romane si scrive XVII, che è un anagramma di VIXI, in latino «sono vissuto», cioè non vivo più, sono morto, e abbiamo già visto come sia nefasto menzionare la morte.

 

Il tredici — Il 13 è considerato sfortunato un po’ in tutto il mondo cristiano perché ricorda il tradimento di Giuda e l’Ultima Cena, in cui erano in 13 a tavola, e per questo si ritiene debba essere evitato questo numero di convitati. Tuttavia l’aspetto nefasto del numero 13 è precedente al Cristianesimo e deriva probabilmente dai calendari di tipo lunisolare (come quello ebraico ancora in uso), cioè con 12 mesi lunari a cui periodicamente viene aggiunto un 13° mese per ristabilire la parità con l’anno solare. Un po’ ovunque questo 13° mese era considerato sfortunato; già all’epoca dei babilonesi il 13° mese era rappresentato da un corvo, simbolo di sventura. Nell’articolo Zodiaco si parla brevemente dell’importanza del 12 come numero significativo in vari aspetti della vita umana; un tredicesimo elemento non poteva che essere ritenuto distruttivo dell’armonia rappresentata dal 12. Pertanto si ritrovano molti esempi antichi e moderni di un valore infausto attribuito al 13; per esempio già il poeta greco Esiodo (VIII-VII secolo a.C.) riguardo ai lavori agricoli suggeriva di non seminare nel giorno 13 di ogni mese. Con un esempio molto più recente, nei tarocchi, che hanno origine nel Rinascimento italiano, la Morte è la carta numero 13 degli arcani maggiori.

 

Ambiguità — Tuttavia il 13 può anche essere fortunato, se portato addosso sotto forma di amuleto; una simile ambiguità è frequente nel campo della superstizione e denota la convinzione di poter usare volontariamente qualcosa che invece è dannoso quando compare in maniera inaspettata. Un caso analogo è dato dalla scopa: si riteneva potesse scacciare dalla casa le streghe e i demoni loro associati, poiché essendo il «mezzo di locomozione» preferito da questi esseri poteva essere maneggiato a loro danno.

Un altro caso di ambiguità riguarda la croce, sempre ovviamente riferita al mondo cristiano. Può essere un segno portafortuna, come quando si incrociano le dita, oppure di sventura; per esempio un tempo si riteneva portasse male disporre le posate in modo da formare una croce.

 

Eventi naturali — Diverse superstizioni traggono origine dal tentativo di dominare eventi naturali che sfuggono tanto alla comprensione quanto al controllo. Per esempio, in Cina le eclissi solari erano attribuite agli assalti di un drago affamato, che voleva mangiarsi il sole; ancora oggi in cinese l’eclissi si chiama rishi, letteralmente «mangiare il sole». Il rimedio consisteva nel praticare quanto più rumore possibile per impaurire il drago e costringerlo ad andarsene (funzionava sempre). Nello stesso contesto si inseriscono le processioni per invocare la Madonna affinché ponga fine a un’eruzione vulcanica, come avviene ancora oggi in Sicilia, nonché le preghiere e le cerimonie per provocare la pioggia, presenti in tutte le religioni e le tradizioni popolari.

Non va dimenticato che anche i fenomeni atmosferici nel passato non erano spiegabili se non ricorrendo all’azione di qualche divinità o demone. Per esempio, Tommaso d’Aquino, uno dei padri della teologia cristiana, nel XIII secolo scrive nella sua monumentale opera Summa theologiae: «La pioggia, il vento e altre simili intemperie sono causate dai demoni. Che essi gettino giù dal cielo il vento, la tempesta e la pioggia di fuoco è un dogma». E sempre secondo Tommaso il vento del nord favorisce la nascita di maschi, quello del sud la nascita di femmine.

 

Divinità delle acque — Provenendo da un teologo di simile levatura, queste superstizioni potrebbero essere considerate di carattere religioso. Vi sono tuttavia diverse credenze di origine religiosa che si perpetuano anche quando il significato legato al culto è andato perduto. Per esempio, un po’ in tutte le culture vi erano divinità delle acque, a cui si facevano offerte gettando nel mare, nei fiumi o nei laghi oggetti preziosi o alimenti. Un’eco di questa usanza si ritrova ancor oggi nella consuetudine di gettare monete nelle fontane, una sorta di omaggio a qualche potenza soprannaturale acquatica.

La maggior parte di queste superstizioni appare innocua, e non sono poi molti oggi a prendere sul serio simili credenze. Tuttavia l’atteggiamento superstizioso è ancora diffuso, soprattutto per quanto riguarda la convinzione dell’esistenza di oggetti e persone in grado di portare fortuna o sfortuna. In certi ambienti (per esempio nel mondo dello spettacolo, assai superstizioso) si arriva perfino a evitare e isolare persone considerate iettatrici. Queste persone ricordano allora le streghe finite sul rogo nel Cinquecento: persone accusate di fare del male agli altri, in realtà vittime del male altrui.

 

 

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