Casella di testo: Roberto Sorgo                                                                               Pagina iniziale > Articoli > Afghanistan 1

AFGHANISTAN (1)

 

 

L’Afghanistan, «terra degli afghani», è in realtà un miscuglio di gruppi etnici, il più importante dei quali è quello dei pashtun, che rappresenta circa il 40% della popolazione (stimata in circa 28 milioni di persone). Il termine afghano, di origine persiana, significa «rumoroso, urlante, gemente» ed era usato come sinonimo di pashtun, anche se oggi definisce l’intera popolazione. Vi sono però altri gruppi etnici, in particolare i tagichi (25%), affini ai persiani, e vari gruppi di origine turco-mongola, come gli hazara (20%), gli uzbechi (8%) e i chahar aimaq (= quattro tribù) (3%), con ulteriori gruppi minori come i turkmeni e i kirghisi. Le lingue ufficiali sono il pashto, parlato dai pashtun, e il dari, variante del persiano, parlato dalla maggior parte delle altre etnie, eccetto uzbechi, turkmeni e kirghisi, che parlano le rispettive lingue affini al turco.

I pashtun che vivono nella parte orientale del paese sono divisi in tribù e in clan e osservano il pashtunwali, un insieme di norme sociali tradizionali incentrate sull’onore e sulla vendetta, che spesso sono in conflitto con le norme islamiche della sharia.

 

Afghani – Così l’Enciclopedia Treccani nell’edizione del 1929 descriveva gli afghani: «Le tribù hanno capi ereditari ma la supremazia passa da una famiglia all’altra. La vendetta ereditaria è osservata come un obbligo sacro, fra tribù e nelle famiglie anche della stessa tribù. Gli afghani sono dediti alle armi, all’agricoltura, al brigantaggio e alla pastorizia, refrattari all’artigianato e al commercio; hanno dimostrato recentemente notevoli attitudini meccaniche. Hanno le qualità e i difetti dei montanari, dei guerrieri e delle popolazioni povere, fanatiche e primitive. Le nostre fonti, per lo più inglesi, insistono specialmente sui difetti».

 

Storia – Per capire l’importanza dell’Afghanistan è necessario passare brevemente in rassegna la storia di questo paese. Si comincia a parlare di Afghanistan soltanto all’inizio del XVIII secolo, quando il paese è ancora dominato dall’impero persiano sciita dei Safavidi. Nel 1716 la tribù degli Abdali di Herat si ribella e libera la provincia dal dominio persiano. Guidati da Mahmud, nel 1722 gli Abdali attaccano Isfahan, capitale dei Safavidi, e la conquistano dopo sei mesi di assedio. La riscossa dei persiani arriva con Nader Qoli Beg, un capo di briganti che nel 1729 sconfigge gli afghani scacciandoli dalla Persia e nel 1732 conquista Herat. Nel 1736 si fa incoronare re col nome di Nader Shah.

Nel 1738-39 Nader conquista Qandahar, Kabul e perfino Delhi, capitale dell’impero Moghul. Del suo bottino fanno parte il celebre diamante Koh-i-Noor («montagna di luce») e il trono del pavone, un trono d’oro poi andato perduto ma rimasto come simbolo della monarchia persiana.

 

Ahmad Khan – A comandare i quattromila uomini della guardia del corpo di Nader è Ahmad Khan Abdali, che torna a Qandahar e nel 1747 viene incoronato re da una jirga (assemblea tribale). Secondo la tradizione, Ahmad viene indicato da un imam come prescelto per governare perché nel corso dell’assemblea non si è pronunciato più di tanto e non ha causato irritazione. Gli altri capitribù si sottomettono ad Ahmad, ritenendolo un capo debole, che non avrebbe intaccato i loro interessi. Questo modo di intendere il ruolo del capo dello Stato si è protratto in Afghanistan fino a oggi.

Ahmad assume il titolo di Durr-i Durrani («perla delle perle») e da allora gli Abdali si chiameranno Durrani. Sotto il dominio di Ahmad gli afghani controllano un vasto territorio che va da Mashhad (attuale Iran) fino al Kashmir e a Delhi. Il figlio Timur Shah viene però contrastato da ribellioni tribali e sposta la capitale da Qandahar a Kabul.

 

Due imperi – I guai per l’Afghanistan cominciano con... Napoleone, che propone allo zar Alessandro I di Russia di unire le forze per conquistare l’India. I britannici, che nel frattempo hanno assunto il controllo del subcontinente, corrono ai ripari siglando nel 1809 a Peshawar un trattato di amicizia con gli afghani, i quali si impegnano a opporsi al passaggio di truppe straniere. L’Afghanistan si ritrova così in mezzo alla contrapposizione fra due imperi, quello russo, in espansione in Asia, e quello britannico, che domina l’India e il Golfo Persico. Il contrasto è passato alla storia con la denominazione, divulgata dallo scrittore Rudyard Kipling nel romanzo Kim, di Great Game (tradotto solitamente «grande gioco» ma sarebbe più corretto dire «grande partita», come una partita a scacchi fra i due imperi), mentre dai russi è chiamato «torneo d’ombre», per il dominio sull’Asia centrale.

 

Invasione – Poiché i tentativi di alleanza con gli afghani non sono fruttuosi, nel 1839 i britannici decidono di invadere l’Afghanistan. Dopo un successo iniziale, i britannici si rendono conto di non riuscire a mantenere la posizione di fronte alle insurrezioni afghane e nel 1842 si ritirano, subendo un massacro.

L’espansione britannica, con l’occupazione di quello che oggi è il Pakistan e i tentativi di annettere anche l’Afghanistan, fa nascere tra i pashtun un detto: «Prima arriva un inglese, come viaggiatore o per la caccia; poi ne arrivano due e fanno una carta geografica; quindi arriva un esercito e occupa il paese. Perciò è meglio uccidere il primo inglese».

 

Linea Durand – Britannici e afghani si scontreranno di nuovo negli anni 1878-80 e ancora nel 1919, ma sempre senza risultati significativi. Nel 1893 il funzionario britannico sir Mortimer Durand traccia la linea di confine che ancora oggi porta il suo nome e costituisce la frontiera attuale tra Afghanistan e Pakistan. In tal modo l’Afghanistan diventa uno Stato cuscinetto fra la Russia zarista e l’India britannica. La linea Durand intende semplicemente indicare il limite entro cui i britannici sono in grado di difendere i loro possedimenti indiani, ma non tiene conto della popolazione locale, formata da pashtun su entrambi i lati del confine. Nasce così il problema del Pashtunistan, un territorio a cavallo tra gli attuali Afghanistan e Pakistan dove la popolazione, unita da legami di parentela e di tradizione, vorrebbe costituire un’entità indipendente. Il Pashtunistan è un problema che divide i due paesi dall’epoca dell’indipendenza del Pakistan nel 1947.

 

Mosca – Nel 1921 l’Afghanistan è uno dei primi paesi a riconoscere il governo bolscevico di Mosca e a siglare un trattato di amicizia con quella che sarebbe di lì a poco diventata l’Unione Sovietica. La stretta collaborazione fra i due paesi sarebbe durata fino all’invasione del 1979.

Nel 1923 il sovrano afghano Amanullah cambia il proprio titolo da emiro a padshah («re») e inaugura un decennio di riforme modernizzatrici, alcune delle quali – come il permesso alle donne di togliersi il velo e l’istituzione di scuole miste per maschi e femmine – offendono le autorità religiose e tribali più conservatrici. Le proteste sfociano nel 1928 in una vera e propria guerra civile, e nel 1929 il tagico Baché-yé Saqqa («figlio della portatrice d’acqua») occupa Kabul e si proclama emiro dell’Afghanistan, ma nel giro di pochi mesi viene spodestato e giustiziato.

Sale al trono Mohammed Nader (1929-33) che promulga una nuova costituzione, più conservatrice, per accontentare le autorità religiose. Il re viene ucciso nel 1933 e gli succede il figlio 19enne Mohammed Zahir (1933-73).

 

Guerra fredda – Nella guerra fredda degli anni Cinquanta e Sessanta l’Afghanistan, pur mantenendo il rapporto di amicizia con l’Unione Sovietica, si dichiara paese non allineato e riesce a ottenere aiuti anche dagli Stati Uniti.

Frattanto riemerge il problema del Pashtunistan. Nel 1961 il Pakistan chiude la frontiera con l’Afghanistan, in risposta alla posizione molto dura su questo argomento da parte del primo ministro Mohammed Daud Khan, cugino del re. L’Afghanistan è costretto ad affidarsi ancor più all’Unione Sovietica per i commerci e gli approvvigionamenti. La frontiera viene riaperta nel 1963, dopo le dimissioni del primo ministro afghano.

Nel 1964 una loya jirga («grande assemblea») approva una nuova costituzione che istituisce una monarchia parlamentare. Nascono movimenti politici fra i gruppi studenteschi, in particolare all’Università di Kabul. Nel 1965 viene fondato il partito comunista (Partito democratico popolare dell’Afghanistan, Pdpa), che presto si divide in due fazioni, una denominata Khalq («popolo»), guidata da Nur Mohammad Taraki e da Hafizullah Amin, e l’altra Parcham («bandiera»), il cui principale esponente è Babrak Karmal. Le due fazioni sono sempre in lotta fra loro per la supremazia.

 

Islamisti – Negli anni successivi si formano altri gruppi politici di ispirazione islamista. L’islamismo quale ideologia politica nasce in contrapposizione al dominio coloniale in Medio Oriente all’inizio del XX secolo e va alla ricerca di uno Stato moderno conciliabile con gli insegnamenti del Profeta. Auspica un ritorno alla situazione originaria della religione, con un califfato quale autorità politica e religiosa per tutti i musulmani e uno Stato il cui ordinamento si fondi sulla sharia, la legge islamica. (Per maggiori dettagli si veda Terrorismo islamico 3.) Nel movimento islamista afghano emergono il tagico Burhanuddin Rabbani e, quale suo principale rivale, Gulbuddin Hekmatyar, di etnia pashtun.

 

Repubblica – Nell’Afghanistan dei primi anni Settanta vi sono dunque gruppi politici comunisti e islamisti che si oppongono al potere monarchico. In una situazione politica bloccata, in cui il re si rifiuta spesso di promulgare leggi importanti, nel 1973, mentre re Zahir si trova a Roma, Mohammed Daud Khan assume il potere e istituisce la repubblica, con un colpo di Stato incruento favorito anche dall’ala Parcham del Pdpa.

Daud, che si dichiara «fondatore, presidente e primo ministro», cerca a sua volta di modernizzare il paese, sviluppando l’agricoltura, migliorando le vie di comunicazione e istituendo uno Stato centralizzato. Queste attività creano però risentimento in varie fasce della popolazione: fra i comunisti, perché non si procede abbastanza speditamente verso un’industrializzazione sul modello sovietico; fra i detentori dei poteri locali, comprese le autorità religiose, perché si cerca di scardinare le usanze tradizionali; fra gli islamisti, perché lo Stato è laico e non si ispira alla sharia.

 

Pakistan – Dopo un fallito tentativo di colpo di Stato nel dicembre del 1973, i capi dei gruppi islamisti si rifugiano a Peshawar, in Pakistan, dove trovano appoggio da parte del governo di Zulfikar Ali Bhutto. Il rapporto complesso fra Pakistan e Afghanistan va inquadrato nella situazione di conflitto irrisolto e continuo che contrappone il Pakistan all’India, fin dalla nascita dei due Stati nel 1947. Il conflitto è armato e cruento nella regione contesa del Kashmir, ha condotto a tre guerre fra i due paesi e, negli anni Novanta, allo sviluppo di armi nucleari da parte di entrambi i contendenti, ma in generale il Pakistan teme un attacco indiano e vuole garantirsi una «profondità strategica», ossia la possibilità di trasferire in Afghanistan armamenti, soldati e popolazione in caso di invasione da parte dell’India. Per quanto questa idea non abbia molto senso, costituisce ancor oggi la base del perdurante interesse dei pakistani per l’Afghanistan, a cui va aggiunto il già citato problema del Pashtunistan. L’ideologia islamista, in un paese fondato proprio per accogliere gran parte dei musulmani dell’India britannica, è inoltre diffusa anche nelle forze armate e nei servizi di sicurezza pakistani. Dopo il colpo di Stato del generale Zia ul-Haq nel 1977, il sostegno del Pakistan ai gruppi islamisti afghani si intensifica.

 

Comunisti al potere – La situazione però si modifica in maniera inaspettata nell’aprile del 1978, quando la fazione Khalq del partito comunista assume il potere con un colpo di Stato e massacra Daud e i suoi familiari. Viene formato un governo con esponenti sia del Khalq sia del Parcham e si intensificano i rapporti con l’Unione Sovietica. Ben presto tuttavia i due raggruppamenti del Pdpa entrano in conflitto. Ha la meglio il Khalq, che espelle dal governo gli esponenti del Parcham. Karmal viene nominato ambasciatore a Praga, una sorta di esilio virtuale.

Il governo del Pdpa, con Taraki presidente e Amin primo ministro, cerca di avviare rapidamente delle riforme che agli abitanti delle zone rurali sembrano delle versioni ingigantite e accelerate di quelle dei regimi precedenti: alfabetizzazione, riforma agraria, industrializzazione guidata dallo Stato. Ben poco di tutto questo viene realizzato in pratica, ma è sufficiente a suscitare forti reazioni negative nella popolazione, che ora accoglie con favore i gruppi islamisti, gli unici a opporsi anche con le armi al governo comunista. Galvanizzati dalla contemporanea rivoluzione iraniana, gli islamisti si pongono come coordinatori dell’opposizione al regime. La rivolta scoppia già nel marzo del 1979 a Herat, dove un’alleanza di cittadini, guerriglieri islamisti e disertori della guarnigione locale combatte per quattro giorni contro l’esercito afghano. La sollevazione provoca cinquemila morti quando l’aviazione sovietica bombarda la città su ordine di Amin.

Dopo la rivolta di Herat, il conflitto tra il governo afghano e l’opposizione islamista diventa una guerra civile vera e propria. Fin da principio la guerra si mette male per le forze governative; migliaia di soldati disertano unendosi ai guerriglieri, e l’esercito comincia a perdere battaglie di piccola entità.

 

Sovietici – I sovietici preferirebbero la fazione Parcham del Pdpa, ma vista la situazione cercano di favorire Taraki rispetto ad Amin. Quest’ultimo, che ha studiato negli Stati Uniti, è sospettato di essere un agente americano. Un fallito attentato ad Amin nel settembre del 1979 rovescia però la situazione: Amin prende il potere e mette a morte Taraki.

Questo esito induce i sovietici a decidere l’intervento armato. I vertici di Mosca temono che Amin faccia «il Sadat», ossia come l’Egitto passi dalla parte degli Usa. Il ministro della difesa Ustinov e il capo del Kgb Andropov spiegano a Brezhnev che Amin intrattiene colloqui segreti con rappresentanti americani e che non è da escludere un suo cambiamento di campo. In tal caso ci sarebbe la prospettiva di avere missili americani in Afghanistan, puntati contro la Siberia. Brezhnev accetta il piano di invasione, convinto che le ripercussioni sul piano internazionale siano modeste e che l’intervento militare si concluda entro poche settimane, giusto il tempo di eliminare fisicamente Amin e insediare al suo posto Babrak Karmal, che poi agirebbe secondo le indicazioni di Mosca. In sostanza i sovietici ritengono che basti un intervento limitato per rimuovere il personaggio scomodo, dopo di che le cose si metterebbero a posto da sole. (Se questo modo di pensare appare quasi ridicolo, per la sottovalutazione dei rischi, l’ottimismo sull’evolversi della situazione e l’incapacità di prevedere le reazioni della popolazione locale, presenta però molte analogie con l’intervento militare americano in Iraq nel 2003.)

 

Isolamento – Mosca non prende in adeguata considerazione un fattore importante: l’isolamento del regime di Kabul. Il governo afghano non ha alleati né all’interno del paese né all’esterno e non riuscirebbe a sopravvivere da solo. Pertanto l’invasione diventa permanente, prolungando per anni anche la guerra civile, a cui forniscono armi e finanziamenti gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, attraverso l’intermediazione del Pakistan.

All’epoca l’intervento sovietico viene visto dai paesi occidentali come una dimostrazione di politica aggressiva, ma dal punto di vista di Mosca è in realtà una sorta di ultima risorsa difensiva. Se in precedenza l’Afghanistan poteva essere utile come Stato cuscinetto fra due alleati americani (l’Iran dello scià e il Pakistan), dopo la rivoluzione di Khomeini l’Iran diventa acerrimo nemico degli Usa, in particolare dopo la cattura degli ostaggi all’ambasciata americana di Teheran nell’autunno del 1979, ma non per questo il paese diventa amico dell’Urss. La preoccupazione principale di Mosca è allora che l’Afghanistan possa diventare alleato degli Stati Uniti.

 

Iran – A complicare ulteriormente le cose interviene dunque la rivoluzione iraniana, che dimostra a tutto il mondo musulmano come si possa rovesciare un regime odiato e instaurare una forma di governo ispirata all’Islam. Poiché l’opposizione afghana è ormai soltanto islamista, Mosca teme un esito analogo a quello iraniano. Per di più l’entusiasmo per le vittorie islamiche potrebbe contagiare anche le repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, in maggioranza musulmane. A questo punto i vertici sovietici non vedono altra soluzione che l’intervento armato, e l’invasione comincia il giorno di Natale del 1979. In breve tempo Amin viene rimosso e giustiziato, e al suo posto viene insediato come capo dello Stato Babrak Karmal.

 

 

 

 

 

 

 

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